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Quando il terapeuta va in vacanza

La Psicoterapia oltre ad essere un lavoro su sé stessi, è anche una relazione intima tra terapeuta e paziente i quali, a seconda dell'orientamento del terapeuta, si incontrano anche più volte la settimana, creando nella relazione una sorta di quotidianità e di aspettativa in cui spesso il tempo è scandito dalla Terapia. Aspettativa e quotidianità instaurano nel paziente una sorta di "certezza" e di "sicurezza" utili anche ai fini della terapia e dell'alleanza terapeutica.

Ma che cosa succede quando il Terapeuta va in vacanza? Le vacanze sono sempre un punto dolente per la coppia terapeutica, da una parte il paziente che vive questo momento influenzato dalla sua storia personale; dall'altra il terapeuta e la sua personale esperienza.

Solitamente è consigliabile affrontare l'argomento vacanze con un certo preavviso, in modo tale da poter dare l'opportunità al paziente di reagire e metabolizzare la notizia.


Ricordo di una mia paziente, di 27 anni, con vissuti abbandonici più o meno marcati, alla quale decisi di informare delle mie vacanze con 2 mesi di preavviso, da una parte non volevo risultare una madre abbandonica e dall'altra volevo lasciarle il tempo di prepararsi emotivamente al distacco. Oltre al fatto che ero molto curiosa di vedere come avrebbe reagito.

Le sue reazioni furono interessanti: appena scoperta la notizia rispose con un "si certo dottoressa" e cambiò discorso, come se in quel momento per lei fosse troppo doloroso affrontare la realtà del distacco. Successivamente mi chiesi se fossi stata io ad informarla nel momento sbagliato, di fatto la informai ad inizio seduta, e ora mi rendo conto che forse sarebbe stato più opportuno scegliere la fine della seduta, in modo tale da non interferire con le sue libere associazioni e lasciarle il tempo di riflettere sulla notizia. 

Durante il mese precedente la partenza, la paziente continuò con le sedute senza mai portare alcun riferimento al momento della separazione. Successivamente, a fine di una seduta, mi chiese "ma lei in vacanza va in aereo?", alla mia richiesta di approfondimento concluse con un secco "così, per curiosità". Ormai mancava una settimana alla mia partenza e, questa volta a fine seduta, informai la paziente della situazione, lei con sorpresa rispose "ma come, lei va in vacanza? ma quando ci vediamo? dopo ci vediamo o non ci vediamo più?". La paziente si era difesa con l'utilizzo della Negazione di fronte ad emozioni e vissuti troppo dolorosi e talvolta paranoici. Accogliendo ed interpretando questi vissuti, la paziente riuscì a lasciarsi guidare dalle fantasie persecutorie e distruttive legate all'abbandono.

Di fatto, mi disse che era preoccupata che in quelle due settimane mi potesse succedere qualcosa di grave (temeva che se avessi preso l'aereo questo sarebbe caduto uccidendomi) e lei sarebbe rimasta da sola ad aspettarmi; inoltre temeva che io avessi utilizzato la scusa delle vacanze per prendermi del momento di "respiro" da lei.


Le vacanze sono un momento delicato non solo per il distacco, seppur temporaneo, dal terapeuta ma sopratutto perché possono innescare fantasie e vissuti primitivi (ad esempio nel caso della vignetta clinica, i vissuti abbandonici appartengono all'infanzia della paziente) oltre al fatto che può accadere talvolta, in pazienti gravi, una regressione a fasi più infantili.

"Il paziente deve poter tollerare la propria ansia di separazione grazie alle esperienze vissute in analisi apprese e le interruzioni della terapia permettono di esercitare questa competenza" scrive Julia Bueno .  

Credo sia importante, al fine di un distacco sano e produttivo, affrontare l'argomento vacanze in tempi e modalità adeguati tenendo sempre in mente la storia della persona che abbiamo di fronte. Incoraggiare la persona ad esprimere i suoi vissuti e le sue emozioni legate al distacco può risultare fondamentale e terapeutico dal momento che in tal modo possono emergere situazioni o emozioni non ancora analizzate ed elaborate. In tal senso, penso che un distacco adeguatamente analizzato, possa aiutare nell'evoluzione continua della persona oltre a garantire la "presenza analitica" anche durante "l'assenza fisica" del terapeuta e della coppia analitica.

Scopo di una terapia non è la dipendenza bensì l'indipendenza della persona, dunque far sì che la persona sopporti e superi i momenti di frustrazione legati alla separazione, significa incrementare nella persona un senso di Sé coeso.

Cosa pensi di questo articolo? Se vuoi aggiungere la tua esperienza, scrivimi!

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